domenica 20 febbraio 2011

La casta dei preti che vuol bastare a se stessa



Nella diocesi di Belluno-Feltre fa discutere la crisi di alcuni sacerdoti, che per esaurimento, depressione, innamoramento, si ritirano dall’attività pastorale, o scelgono di “gettare la tonaca alle ortiche”, come si sarebbe detto in tempi in cui la tonaca la portavano tutti gli appartenenti alla gerarchia cattolica. Le spiegazioni uscite dalla dirigenza diocesana tendono a minimizzare, a farne dei casi singoli. Ma quando i numeri crescono e i problemi emergono anche in figure che non avevano mai dato segni di squilibrio, sarebbe utile che vescovo e colleghi curiali si mettessero davanti all’evidenza del disagio del mestiere di prete nella Chiesa contemporanea. Può darsi che lo facciano, anche se sarà difficile che Giuseppe Andrich, diventato vescovo dopo una carriera prettamente curiale, che lo ha visto occuparsi di organismi associativi, parrocchia in centro città, rettore del seminario, vicario generale, cioè capo della burocrazia diocesana, osi mettere in discussione la struttura che lui ha contribuito a mantenere nel vecchiume che dimostra. Di chi sono discepoli, infatti, quei pretini usciti in questi anni dal seminario, impostati mentalmente come degli impiegati della religione, preoccupati del proprio tempo libero e degli hobby più che della crescita insieme alla comunità nella coerenza al vangelo? Fa specie e forse anche un po’ di pena leggere le “soluzioni” consigliate, per superare lo stress da attività pastorale, dal monsignore arcidiacono di Agordo, Giorgio Lise, a suo tempo in predicato di diventare vescovo di Vittorio Veneto. “Il fatto di essere sotto organico è sotto gli occhi di tutti. Da qui si è espressa corale la volontà di vivere di più la fraternità sacerdotale. Io auspico confronti più frequenti. Anche una telefonata, due chiacchiere fanno sempre piacere e ci fanno essere vicendevolmente più vicini”. L’idea di far vivere i preti in comunità e di creare “zone pastorali” dove vari parroci vivano in una canonica unica la quotidianità e l’organizzazione concertata delle mansioni è stata una “pia illusione” di vari vescovi succedutisi in questa come in altre diocesi. Ma se i preti sono stati allevati e formati in seminari, dove hanno imparato a vivere la solitudine personale ed affettiva come l’esperienza più forte e decisiva per misurare la solidità della propria vocazione? Se a questi “specialisti”del sacro è stato insegnato a gestire personalmente tutta l’organizzazione parrocchiale, non delegando alcunchè ad altri, nemmeno ai cappellani, considerati fino a qualche anno fa come dei collaboratori a servizio del principale? Infatti tutte le piccole esperienze di comunità o di fraternità sacerdotale sono abortite o ipocritamente vissute con la stessa individualità a cui ogni prete preferisce adeguarsi.
E intanto le comunità cristiane diventano sempre più aggregazioni formali di cattolici abitudinari, senza entusiasmo e senza coinvolgimento progettuale da parte di tutti, prete e laici, uomini e donne.
Quale azienda, ci si potrebbe chiedere, dopo aver constatato che i propri dirigenti da anni perdono clienti e non riescono a comunicare con quelli che rimangono per abitudine, non cambierebbe strategia? La Chiesa cattolica in occidente, e soprattutto nelle zone più soddisfatte nelle esigenze materiali, ha perduto aderenti e non riesce a comunicare l’originalità e la radicalità del messaggio di Gesù. La casta sacerdotale continua nel suo modo di essere e di formare i nuovi preti senza mai coinvolgere, nella responsabilità di cambiare e costruire nuove prospettive comunitarie, i laici, senza mai discutere se il celibato libero, il sacerdozio femminile potrebbero dare un volto nuovo a una gerarchia sclerotizzata dentro a schemi e formule che nessuno capisce. Chi ama la Chiesa dovrebbe preoccuparsi del suo involversi e della sua incapacità di comunicare con i giovani, che dopo la cresima se ne vanno dalle parrocchie. Invece i preti sembrano indifferenti e preoccupati di salvare se stessi e la gerarchia. Come se le parole di Gesù “la messe è molta e gli operai sono pochi; pregate il padrone della messe perché mandi operai per la sua messe” (Lc 10, 2), fossero state dette per creare una casta di professionisti della predicazione e non una comunità di testimonianza dell’amore di Dio nel mondo.
Lucio Eicher Clere

1 commento:

  1. Si ritorni indietro di 40 anni... si riveda cosa ha detto veramente il Concilio Vaticano II (il quale non ha mai detto di stravolgere la Liturgia come hanno fatto!!!)... si ripristinino molte cose che sono state gettate in questi ultimi 40 anni... si torni allo spirito dei Padri della Chiesa... e si preghi!!! senza preghiera non si va da nessuna parte!!! Inutile continuare a voler costruire una Chiesa fondata su utopie post-conciliariste!

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